(di Lucia Mazzuca)
1. Una concettualizzazione complessa
Chiunque si appresti ad una semplice riflessione oppure ad una più profonda analisi sulla crisi che le moderne democrazie stanno attraversando negli ultimi decenni, in relazione soprattutto al declino dei tradizionali strumenti di rappresentanza e di partecipazione, non può fare a meno di confrontarsi con due tra le più note e rilevanti proposte di riforma e di rinnovamento della prassi democratica: la democrazia partecipativa e la democrazia deliberativa. Si tratta di due approcci che hanno dato vita, in Italia, in Europa e nel mondo, ad un corpus teorico e concettuale estremamente ampio e complesso, cosi come altamente complesso e variegato è il repertorio di esperienze e di pratiche che vengono qualificate, da caso a caso, come partecipative o deliberative. Tale complessità è alla radice delle oggettive difficoltà che si riscontrano nel fornire una definizione o un modello di democrazia partecipativa e di democrazia deliberativa che scongiurino il pericolo di improprie sovrapposizioni o, dall’altro lato, di rigide distinzioni tra i due fenomeni. La questione è, per questa via, oggetto di argomentazioni tutt’altro che univoche all’interno della comunità scientifica. Una chiara distinzione tra i due ambiti è rintracciabile in parte della letteratura statunitense e, in misura più o meno ampia, in alcuni autori italiani (Pellizzoni 2005, Regonini 2005, Lewanski 2007) che colgono il discrimen tra i due modelli principalmente nell’elemento della deliberazione, il quale collocherebbe la democrazia deliberativa in un orizzonte differente (e, al limite, superiore) rispetto alle forme di democrazia partecipativa, nell’ambito delle quali, pertanto, essa risulterebbe difficilmente inscrivibile, se non attraverso un’opera di aggiustamento e di temperamento dei suoi presupposti teorici, la cui stessa validità sarebbe del tutto discutibile. Tendenze di segno opposto si riscontrano, dall’altro lato, in tutti quegli studiosi (ad es. Bifulco 2009, Paci 2008, Bobbio 2007a, Gbikpi 2005) che, pur riconoscendone specificità e differenze, non considerano democrazia partecipativa e democrazia deliberativa quali approcci difficilmente conciliabili. Essi tendono piuttosto a rintracciare linee comuni e a porre in risalto, in particolare, come la democrazia deliberativa possa essere ritenuta, come suggerisce Bobbio (2006), una forma di democrazia partecipativa dai contorni più circoscritti e definiti, e altresì “considerata la continuazione e il compimento della teoria partecipativa della democrazia” (Gbikpi 2005).
Oltre alla questione se democrazia partecipativa e democrazia deliberativa si pongano quali orizzonti teorico-pratici complementari, o al contrario, intrinsecamente irriducibili, nell’ambito dell’ormai più che decennale dibattito sulle nuove forme di partecipazione alla vita democratica emergono altre domande cruciali, connesse alla legittimità, all’accessibilità, all’efficacia, all’impatto3 e ai limiti delle esperienze partecipative e/o deliberative là dove esse sono realizzate4 , nonché alla problematicità dei presupposti teorico-concettuali sui quali queste ultime si fondano5 . Anche in questo caso è presente la concreta difficoltà di rintracciare risposte del tutto esaustive e generalizzabili, oltreché univoche, difficoltà che è connessa al carattere “cangiante” e multiforme dei fenomeni di partecipazione e, naturalmente, ai diversi standpoint da cui essi vengono osservati e analizzati dagli studiosi. Proprio in relazione a quest’ultimo punto, il contributo di studi e ricerche provenienti dal contesto nordamericano (terreno in cui la stessa democrazia deliberativa ha avuto origine e, peraltro, prolifico di esperimenti e pratiche di partecipazione) può offrire, a mio avviso, spunti interessanti per la riflessione sui modelli di democrazia partecipativa e democrazia deliberativa attraverso, ad esempio, l’analisi di punti comuni, discordi o inediti rispetto alle tematizzazioni di respiro europeo, arricchendo, in tal modo, il quadro concettuale ed empirico sia dal punto di vista conoscitivo che da quello esplicativo.
In questa cornice di riferimento, il semplice esercizio che propongo in questo paper è connesso al tentativo di rintracciare delle chiavi interpretative che possano incidere sulla complessità delle questioni più “accese” che si riscontrano nel dibattito su democrazia partecipativa e democrazia deliberativa e, nel contempo, che possano gettar luce su quelle più controverse. A tal fine, l’operazione necessaria a mettere un po’di ordine nel vasto e variegato panorama di forme teoriche e di azione, è consistita, in via preliminare, in una definizione degli elementi distintivi dei modelli partecipativo e deliberativo e degli aspetti che li differenziano (paragrafo 2). Tale definizione si è posta quale premessa teorico- metodologica per un’analisi più in profondità dei fenomeni di partecipazione dal punto di vista empirico, che si è concretizzata in uno studio di un campione di 73 esperienze di partecipazione realizzate in Italia (paragrafo 3), studio risultato funzionale ad una rilettura dei modelli di democrazia partecipativa e di democrazia deliberativa che ha messo in luce, in particolare, tre aspetti- il ruolo dei cittadini organizzati, l’approccio pratico ai processi di partecipazione e la presenza dei cittadini nelle fasi di implementazione e monitoraggio delle decisioni - sulla cui concettualizzazione essi palesano alcune problematicità (paragrafo 4). In questa riflessione un ruolo importante è stato giocato dall’Empowered Participatory Governance, modello elaborato negli Stati Uniti da Archon Fung ed Erik Olin Wright nel 2003, e che ho adoperato come una sorta di termine di paragone, al fine di verificare quale sia il contributo che esso può apportare al dibattito su democrazia partecipativa e democrazia deliberativa, in relazione, anche, alla tematizzazione dei tre aspetti su menzionati (paragrafo 5).
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