(di Giovanni Moro)

Promemoria per una discussione sul pensiero politico del movimento di critica alla globalizzazione

 

Premessa

Al momento in cui questo articolo viene scritto (fine settembre 2001), è presto per dire se e in quale modo l’attacco terroristico dell’11 settembre a New York e a Washington cambierà l’approccio alla realtà di quello che – in mancanza di distinzioni più nette, delle quali sono comunque responsabili i protagonisti – chiamerò movimento di critica alla globalizzazione. I primi segnali, per la verità, sembrano dire di una scarsa propensione del movimento a leggere quell’evento come in radicale discontinuità con se stesso, non solo e non tanto per il metodo terroristico, da tutti condannato, quanto per l’intenzionalità dei suoi autori e ispiratori, che non è quella di giocare un ruolo, se così si può dire, nella “lotta di classe mondiale”, ma è quella di spingere il mondo verso quello “scontro di civiltà” in cui i miliardi di poveri e diseredati hanno già il destino segnato come comparse, pretesti, o forse carne da cannoni.

Fatta questa doverosa premessa, è utile domandarsi, guardando più da lontano (nel tempo ma anche nello spazio) a eventi come il G8 di Genova, se il movimento di critica alla globalizzazione sia portatore di un’analisi e di una strategia all’altezza della drammaticità dei problemi di giustizia nel mondo e delle sue stesse ambizioni di riscatto dei poveri. E’ su questo che vorrei soffermare l’attenzione. Senza alcuna pretesa di esaustività e, ripeto, facendo astrazione dalle molte anime che compongono il movimento, ma anche prendendo sul serio ciò che filtra dal loro confrontarsi e comporsi, cercherò di mettere in rilievo alcuni punti critici di quello che si potrebbe definire “approccio no global” alla politica internazionale. Questi punti riguardano aporie (ossia difficoltà insormontabili per il pensiero), contraddizioni e paradossi che al momento sembrano caratterizzare il movimento antiglobalizzazione e che, a mio parere, il movimento stesso dovrà necessariamente risolvere se vuole avere un futuro e non essere, alla fine, stato solo l’ennesima occasione di “turismo politico” per una parte di opinione pubblica progressista.

Per me è scontato, ma potrebbe non esserlo per il lettore, che questo tentativo di enucleare difficoltà e ostacoli nel pensiero politico del movimento di critica alla globalizzazione prende le mosse da una sintonia di fondo circa la necessità di dare priorità alla questione della disuguaglianza planetaria e dal riconoscimento che, se non fosse stato per questo movimento, di un problema del genere non si sarebbe affatto parlato. Tuttavia, proprio perché il punto di caduta dei movimenti di azione collettiva è la loro capacità di durare nel tempo e di concorrere alla soluzione dei problemi che hanno posto nell’arena pubblica, la questione della forza interpretativa e dello spessore strategico del movimento è a suo modo la più importante da porsi.

Nel tentativo di indicare alcuni nodi che il movimento di critica alla globalizzazione non ha ancora sciolto, tratterò tre gruppi di questioni, relative rispettivamente alle visioni della globalizzazione, alla individuazione di amici e nemici, alla tematizzazione del rapporto tra cittadinanza e globalizzazione.

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